Che cosa possono avere in comune l’Arabo e lingue a noi familiari come l’Inglese, il Francese, (talvolta) il Tedesco e, naturalmente l’Italiano?
Molto più di quanto comunemente si creda, se non si assolutizza quel confine, potente anche nell’immaginario, tracciato attraverso le cosiddette “famiglie linguistiche”. L’Arabo appartiene infatti alle “lingue semitiche”, mentre le altre summenzionate sono state inserite nelle “lingue indoeuropee” (lasciando perdere i sottogruppi di entrambe le famiglie).
Le classificazioni, escogitate in un periodo – il Sette-Ottocento – in cui tutto, per gli studiosi occidentali, doveva essere sistematizzato (per meglio essere “controllato”), possono avere la loro utilità, ma è bene evitare di trarne deduzioni forzate e pretestuose, che dal mero campo linguistico finiscono per coinvolgere gli ambiti della psicologia, della sociologia e addirittura della mentalità di un parlante Arabo piuttosto che Inglese, Italiano eccetera.
Con questo non vogliamo dire che le lingue “sono tutte uguali”, con ciò intendendo che una “traduzione” di un vocabolo o di una frase basta ad esprimere tutta la gamma di sensazioni, immagini e concezioni di cui una lingua è veicolo privilegiato, a differenza di altre. Ogni lingua, in effetti, è particolarmente adatta per esprimere determinate idee invece che altre.
Talvolta la questione è facile da capire: se l’informatica ha avuto uno sviluppo preponderante negli Stati Uniti, va da sé che l’Inglese è perfetto per apprenderne ogni aspetto; così come è noto che gli archeologi devono imparare un po’ di Tedesco, mentre i musicisti sarà bene che s’impratichiscano con l’Italiano, se non altro perché nel primo caso molti studi “classici” in materia sono stati redatti nella lingua di Goethe, mentre nel secondo è ancor più noto che l’Italia ha dato i natali al fior fiore dei musicisti e dei cantanti d’opera.
Ma qui si tratta ancora fattori d’ordine storico, sociale, economico, ed anche politico a farla da padrona. Mentre vogliamo invece sottolineare un aspetto poco considerato oggi, ovvero la capacità di una lingua di poter esprimere “idee spirituali”, di fungere da sostegno per una ricerca interiore.
Ora, tutti sanno che la lingua del Corano, il testo sacro dell’Islam, è l’Arabo. Dunque, chi vuole penetrare nei significati più reconditi del Libro (con la maiuscola) non può prescindere dall’apprendimento dell’Arabo. Lingua araba e religione dell’Islam sono inscindibilmente correlati.
Ma al di là di tutto questo, vi è, per così dire, a monte, una sorta di “unità d’origine del linguaggio” (v. A. Trombetti, L’unità d’origine del linguaggio, Bologna 1905): se la Verità, da cui promana tutto il resto, è una, anche la lingua non può che essere, originariamente, una.
Ecco che si spiegano così alcune ‘inspiegabili similitudini’ tra vocaboli di lingue appartenenti a “famiglie” diverse che esprimono “idee fondamentali”: all’inglese Earth e al tedesco Erde (“Terra”), fa eco l’arabo Ard; la parola araba Daw’ (“luce”) è ricollegabile alla stessa radice dei nostri Dì e Diurno; Lugha (“lingua”) ricorda curiosamente il greco Logos; Sûfiyya (da cui “Sufismo”) evoca immediatamente la Sofia, la Divina Saggezza; il tedesco Zahn (“dente”) ha a che fare con l’arabo Sinn? Strano, ma fino a un certo punto che “gemello” in arabo si dica taw’am, dalla stessa radice “indoeuropea” di due, two ecc. Jins (“genere”, “sesso”) chissà perché è così simile a Gens e Genus. E come mai gli inglesi chiamano Breakfast (lett. “rottura del digiuno”) la colazione, esattamente come fa l’Arabo scegliendo una radice che racchiude l’idea di rottura, interruzione, da cui Iftâr (il pasto che segna la fine, al tramonto, del quotidiano digiuno di Ramadân) e Futûr? Hilf (“alleanza”), ha a che fare con Hilfen (ted.) e To Help (ing.)? Udhun (“orecchio”) è completamente estraneo al prefisso oto-? La Ka‘ba ricorda poi clamorosamente la parola Cubo, mentre Haratha, un’attività tra le più antiche volta alla preparazione dei campi, riporta alla mente Arare ed Aratro. Ha qualche relazione poi l’arabo Kafan (“bara”) con l’inglese Coffin? Qarn (“secolo”) pare inoltre essere collegato al greco Kronos, mentre è assai curioso trovare il tedesco Berg (“montagna”) e l’arabo Burj (“torre”), e sempre per scomodare il tedesco desta un certa impressione l’assonanza tra War (“guerra”) e Harb. Cut (“tagliare”, in inglese) potrebbe aver la stessa origine dell’arabo Qata‘a, così come il francese Casser (“rompere”) ricorda straordinariamente l’arabo Kasara, allo stesso modo di Achéter (“acquistare”), che fa il pari con Ishtarâ.
Si tratta solo di “prestiti linguistici” (come i più sono indotti a pensare?), oppure di semplici, benché notevoli, assonanze? Oppure di qualcos’altro che ci induce a riflettere sull’unità fondamentale non solo dell’origine del linguaggio bensì dell’intera civilizzazione umana?